Cgia Mestre: “Si lavorano 156 giorni ogni anno per le tasse”

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Il primo weekend di giugno 2025 porta con sé una curiosa, quanto simbolica, liberazione: da ora ogni italiano ha terminato – almeno in linea teorica – di lavorare per pagare tasse e contributi, iniziando finalmente a guadagnare per sé. È il cosiddetto Tax Freedom Day, il giorno della liberazione fiscale calcolato annualmente dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre, che quest’anno arriva dopo ben 156 giorni dall’inizio dell’anno, sabati e domeniche inclusi.
Un esercizio teorico, certo, ma che fotografa con immediatezza l’impatto della pressione fiscale sul reddito degli italiani. In parole povere: se ogni euro prodotto nel Paese fosse destinato prima a saldare il conto con il fisco, solo a partire dal 6 giugno potremmo cominciare a spenderlo per vivere.

Il calcolo parte dalla stima del PIL nazionale per il 2025, previsto in 2.256 miliardi di euro. Dividendo questa cifra per i 365 giorni dell’anno, si ottiene una media giornaliera di circa 6,2 miliardi. Di contro, le entrate tributarie e contributive attese ammonteranno a 962,2 miliardi. Suddividendo queste entrate per il PIL giornaliero, si ottiene il numero dei giorni necessari a coprire il carico fiscale: appunto, 156.
Tasse, un peso che non scende
Secondo il Documento di Economia e Finanza 2025, la pressione fiscale prevista è del 42,7%, in leggera crescita rispetto al 42,6% del 2024. Tuttavia, la lettura va interpretata con attenzione. La nuova misura che sostituisce la decontribuzione – un mix di sconti Irpef e bonus per i redditi più bassi – viene conteggiata come spesa pubblica e non incide direttamente sulle entrate fiscali. Se la si considerasse, la pressione scenderebbe leggermente al 42,5%, anticipando simbolicamente il Tax Freedom Day al 5 giugno.
Trent’anni di confronti: record negativo con Monti, minimo con Berlusconi
Se si osserva lo storico degli ultimi 30 anni, il minimo storico nella pressione fiscale risale al 2005 con il governo Berlusconi: 38,9% del PIL. Il record massimo si è invece registrato nel 2013, sotto il governo Monti (poi Letta), quando si toccò il 43,4%.
Perché la pressione sembra aumentare anche senza nuove tasse
Dal 2023 si è registrata una nuova impennata della pressione fiscale. Ma secondo CGIA, ciò non dipende da un effettivo aumento delle tasse. Piuttosto, è l’effetto di riforme e dinamiche economiche: decontribuzione, accorpamento degli scaglioni Irpef, nuovi bonus, rinnovi contrattuali e maggior occupazione hanno generato più entrate, senza che vi sia stato un vero inasprimento fiscale.
Aumenti fiscali? Sì, ma marginali
Gli effettivi aumenti di tasse introdotti nel biennio 2024-2025 sono stati limitati: un ritocco delle imposte su tabacchi, prodotti per l’infanzia e igiene femminile, un aumento dell’imposta sulla rivalutazione di terreni e partecipazioni, la rimodulazione delle detrazioni fiscali e il giro di vite sulle cripto-attività.