Alex Frosio:” Io volevo essere Paolo Rossi, con il Grifo sul petto…”

Io volevo essere Paolo Rossi: questo lo splendido post di Alex Frosio, giornalista della Gazzetta dello Sport e figlio di Pierluigi Frosio, del capitano di quel Perugia. Nel post di vede una foto con Alex in braccio a “Pablito”, al fianco di Renzo LUCHINI.

“Io volevo essere Paolo Rossi. Io ERO Paolo Rossi. In giardino, sul balcone, al campetto, sul prato di Pian di Massiano. Ogni volta che avevo un pallone tra i piedi. Cioè sempre. A cinque anni un bambino può non pensare ad altro. Sogna. Tutti volevano essere Paolo Rossi, però io ho avuto il privilegio di viverlo, quel sogno. Per l’Italia Paolo Rossi ha la maglia azzurra numero 20, o il 9 bianconero. Per me no. Per me Paolo Rossi ha e avrà sempre la maglia biancorossa con il Grifo sul petto. Paolorossi. Tutto attaccato. Come Cristianoronaldo. Perché quello che successe nel 1979 aveva avuto lo stesso clamore di CR7 alla Juve. Il Perugia, il Perugia dei Miracoli, imbattuto nella stagione 1978-79, pensa in grande. Come la Juve che con l’alieno portoghese vuole vincere la Champions. Il Grifo sogna lo scudetto, e l’alieno a quei tempi è lui, Paolorossi. Per prenderlo, il Perugia rivoluziona il calcio italiano. Alla fine del libro fotografico che ai tempi aveva celebrato il Perugia dei Miracoli, c’è una foto del presidente Franco D’Attoma che parla con l’avvocato Gabriele Brustenghi su una panchina del prato del Renato Curi, a Pian di Massiano. Illuminato dal sole, D’Attoma dice: “Pensa se un giorno da quel tunnel uscisse Paolo Rossi con la maglia del Perugia”. Brustenghi, visionario del marketing, già ha una strategia. Fa un accordo con la Pasta Ponte, complicato, osteggiato, controverso, ma alla fine accettato perché il futuro non può che essere quello: il calcio italiano scopre le sponsorizzazioni. E il Grifo ha il miliardo per pagare il prestito biennale di Paolorossi. Io, bambino, di sponsor, soldi, rivoluzioni, non so niente. Io so solo “Paolorossi”. Gioca nella mia squadra, gioca con il mio papà. Andiamo a trovarlo in ritiro a Norcia. Io passo in tempo in braccio. A Paolorossi. Ho una foto in cui dormo in braccio a lui. Sogno, mentre vivo.

Mio papà, il Capitano, forse con un po’ di gelosia, dice che in allenamento quel segaligno se calcia dal limite dell’area deve tirare due volte per arrivare in porta. Ma ammette pure che, non si sa come, quando è in area non c’è verso di fermarlo. Fa sempre gol. Spunta ovunque. Smarcamento, tenta di spiegarmi papà. Capirò molti anni dopo quando mi spiegherà come fa Pippo Inzaghi a segnare così tanto. E io voglio sempre più essere Paolorossi. Che segna sempre. Con la maglia del Grifoc che punta allo scudetto ne mette 12 nelle prime 14 partite. Gli ultimi due dell’anno di grazia 1979 – passato per sempre alla storia come l’anno dell’imbattibilità del Perugia – Paolorossi li segna ad Avellino. Alla vigilia gli hanno presentato gente poco raccomandabile, lui voleva solo giocare a tombola in ritiro. E il giorno dopo voleva solo fare gol. Quella volontà da bambino gli costa la squalifica: arrivano le forze dell’ordine negli stadi, gli arresti. La figura del mio idolo si incrina. Lui non gioca per due anni e quello stop non l’ha mai capito. Non lo capivo nemmeno io, ero troppo piccolo. Pensavo fosse colpa sua se la favola del Grifo – penalizzato, retrocesso, addio – si era interrotta. Perugia diventa quasi una macchia, da cancellare: nella storia solo Pablito, il Mundial, le vittorie, difficile leggere di quell’anno in biancorosso. Meglio dimenticare.

Ma io volevo essere Paolorossi. E ora, dovunque sia, sappia che ha fatto felice un bambino. Sapete quanto vale, no?”